TRIBUNALE ORDINARIO DI LECCE 
           Sezione dei giudici per le indagini preliminari 
 
    Ordinanza  di  rimessione  alla   Corte   costituzionale   e   di
contestuale sospensione del procedimento. 
    Il Giudice dell'esecuzione,  dott.ssa  Simona  Paniera  decidendo
sulla richiesta depositata in data 10 febbraio 2017 nell'interesse di
S.A., in atti generalizzato,  attualmente  detenuto  presso  la  casa
Circondariale di Brindisi, con la  quale  si  chiede  la  sospensione
dell'ordine di carcerazione emesso dal Procuratore  della  Repubblica
di Lecce in data 31 gennaio 2017, in relazione  all'esecuzione  della
pena di anni quattro di reclusione ed € 16.000,00 di  multa  inflitta
al predetto per il reato di cui  all'art.  73  comma  1  decreto  del
Presidente della Repubblica n. 309/90 con sentenza emessa dal  G.I.P.
Tribunale di Lecce in data 7 marzo 2016, divenuta irrevocabile il  21
dicembre 2016, e la conseguente sospensione dell'esecuzione di  detta
pena; 
    Sentiti il P.M. ed il difensore comparsi all'udienza camerale del
6 marzo 2017 e sciogliendo la riserva di cui al separato verbale; 
    Ritenuto,   preliminarmente,   che   l'istanza   di   sospensione
dell'esecuzione cosi' come proposta risulta  ammissibile.  Invero,  a
mente dell'art. 656 codice procedura penale,  come  modificato  dalla
legge n.165/98, il pubblico ministero, fermo il  dovere  di  emettere
l'ordine  di  carcerazione  per  le  pene  detentive   brevi,   deve,
contestualmente, sospenderne l'esecuzione con separato provvedimento,
assegnando al condannato  un  termine  di  30  giorni  per  formulare
richiesta di  misure  alternative.  Ne  consegue  che,  ove  non  sia
adottato il provvedimento di sospensione,  non  essendo  prevista  la
facolta' di proporre al P.M. istanza  di  annullamento  o  di  revoca
dell'ordine di carcerazione legittimamente emesso, deve pero'  essere
consentito al condannato di rivolgere al Giudice della esecuzione una
istanza di declaratoria di inefficacia temporanea  del  provvedimento
che  dispone  la  carcerazione,  e  cio'  in  applicazione  analogica
dell'art. 670 Codice procedura penale (cfr. Cass. sez.  I,  sent.  n.
2430 del 17 giugno 1999 (ud. del 23 marzo 1999), Kola (rv 213875); 
 
                               Osserva 
 
    In  punto  di  fatto,  al  S.  A.  veniva  notificato  ordine  di
carcerazione n. 25/2017 SIEP emesso dal P.M. sede in data 31  gennaio
2017 in relazione alla pena  di  anni  quattro  di  reclusione  ed  €
16.000,00 di multa, inflitta al predetto per il reato di cui all'art.
73 comma 1 decreto del Presidente  della  Repubblica  n.  309/90  con
sentenza emessa dal G.I.P. Tribunale di Lecce in data 7  marzo  2016,
divenuta irrevocabile il 21 dicembre 2016. 
    Secondo il computo eseguito dal P.M. nel  notificato  ordine,  la
pena espianda risulta  pari  ad  anni  3  mesi  11  e  giorni  17  di
reclusione, cosi' determinata portando in detrazione  il  periodo  di
presofferto in custodia cautelare pari a giorni 13. 
    Tanto precisato, l'ordine di  esecuzione  di  cui  si  invoca  la
sospensione afferisce a pena detentiva infraquadriennale inflitta per
reato diverso da quelli previsti dall'art.  4-bis  legge  n.  354/75,
anche se  costituente  residuo  della  maggior  pena  di  anni  4  di
reclusione ed € 16.000 di multa. 
    Inoltre, va  sottolineato  come  al  momento  dell'emissione  del
suddetto  ordine  di  carcerazione  esecuzione  di  S.   si   trovava
sottoposto alla misura non custodiale dell'obbligo di dimora. 
    Tale la fattispecie  concreta  in  scrutinio,  la  difesa  invoca
l'adozione di un provvedimento di sospensione  alla  stregua  di  una
interpretazione costituzionalmente  orientata  del  precetto  di  cui
all'art. 656 comma 5 c.p.p., si' da adeguare  detta  norma  al  nuovo
assetto normativo in materia di affidamento in prova  del  condannato
come delineato dall'art. 3,  comma  8,  lett.  c),  decreto-legge  n.
146/2013,  che  ha  introdotto  all'art.  47  il  comma  3-  bis.  In
subordine,  in  difetto  delle  condizioni  per   simile   operazione
ermeneutica, si denuncia  l'illegittimita'  costituzionale  dell'art.
656 comma 5 c.p.p. per violazione dell'art. 3, 13 e 27  Cost.,  nella
parte in cui non prevede che l'ordine di sospensione della pena debba
essere emesso anche nei casi di pena non superiore a quattro anni  di
detenzione. 
    Preliminarmente, si ritiene sussistere in capo a  questo  Giudice
la  leggittimazione  a  proporre  l'incidente  di  costituzionalita',
essendo chiamato ad esercitare  una  effettiva  ed  attuale  potestas
decidendi   proprio   in   relazione   alla   norma   sospettata   di
incostituzionalita', emettendo all'esito un  giudizio  potenzialmente
definitivo del procedimento. 
    Tanto premesso, la pregiudiziale di  legittimita'  costituzionale
si  appalesa  rilevante  ai  fini  della  definizione  del   presente
procedimento di esecuzione. 
    Ed invero, l'attuale formula dell'art.  656  c.p.p.  al  comma  5
prescrive che: «Se la pena detentiva, anche se costituente residuo di
maggiore pena, non e' superiore a tre anni,  quattro  anni  nei  casi
previsti dall'art. 47-ter, comma 1, della legge 26  luglio  1975,  n.
354, o sei anni nei casi di cui agli articoli 90 e 94 del testo unico
approvato con decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990,
n. 309, e successive  modificazioni,  il  pubblico  ministero,  salvo
quanto previsto dai commi 7 e 9, ne sospende l'esecuzione.». 
    La norma va correlata con la  disposizione  di  cui  all'art.  47
legge n. 354/1975 sull'ordinamento penitenziario,  che  ammette  alla
misura alternativa dell'affidamento in prova  a  servizio  sociale  i
condannati a pena infratriennale «Se la pena detentiva  inflitta  non
supera tre anni, il  condannato  puo'  essere  affidato  al  servizio
sociale fuori dell'istituto per un periodo uguale a quello della pena
da scontare.» 
    Attualmente, dunque, la  sospensione  automatica  dell'ordine  di
esecuzione  e'  riconosciuta  solo  per  i  condannati  che   abbiano
riportato una pena definitiva inferiore ai tre anni al fine di fruire
dell'affidamento in prova, mentre e' ammessa soltanto  ove  ricorrano
specifiche condizioni nel caso di pena inferiore ai quattro  anni  al
fine di fruire della detenzione domiciliare c.d. «umanitaria» di  cui
all'art. 47-ter comma 1 ord. pen. (in seguito alla modifica di cui al
decreto-legge n. 78/2013) ed a pena inferiore a sei anni al  fine  di
fruire dell'affidamento in prova speciale c.d.  «terapeutico»  (artt.
90 e 94 del testo unico sugli stupefacenti,  decreto  del  Presidente
della Repubblica n. 309/1990). 
    Tale istituto e' chiaramente  ispirato  alla  ratio  di  impedire
l'ingresso in carcere ai condannati in grado di ottenere l'ammissione
ad una misura alternativa alla detenzione. 
    Risulta, d'altra parte evidente come  il  meccanismo  predisposto
dall'art. 656 comma 5 c.p.p.  sia  strutturalmente  e  funzionalmente
collegato  all'accesso  del  condannato   alla   misura   alternativa
dell'affidamento  in  prova,  mirando  i  due  istituti,   ossia   la
sospensione dell'esecuzione e le misure alternative alla  detenzione,
al comune duplice obiettivo, da un lato, della deflazione  carceraria
e, dall'altro, della funzione rieducativa e special-preventiva  della
pena. 
    Ed inoltre, l'istituto della sospensione  obbligatoria  si  fonda
sulla  presunzione  di  una  ridotta  pericolosita'  del  condannato,
presunzione che parimenti e' alla base delle  condizioni  di  accesso
alle misure alternative alla detenzione. 
    Con decreto-legge n. 146/2013, convertito in legge n. 10/2014, e'
stato introdotto all'art. 47 1.cit.  il  comma  3-bis,  il  quale  ha
ampliato l'ambito di operativita' dell'istituto  dell'affidamento  in
prova al servizio sociale, contemplando un nuovo  limite  di  accesso
all'affidamento in prova al condannato «che deve  espiare  una  pena,
anche  residua,  non  superiore  a  4  anni  di   detenzione»   (c.d.
affidamento allargato). 
    Ebbene, tale nuova disposizione normativa non trova riscontro nel
meccanismo previsto dall'art. 656 comma  5  c.p.p.,  il  quale,  come
detto, sebbene strumentale alla disciplina delle  misure  alternative
alla detenzione, ne consente l'accesso prescrivendo  una  sospensione
'automatica' dell'esecuzione della pena detentiva soltanto  allorche'
la stessa sia contenuta nel limite di anni 3. 
    Pertanto, il prevenuto, in  quanto  condannato  ad  espiare  pena
superiore ad anni 3 ma inferiore ad  anni  4,  non  puo'  allo  stato
beneficiare dell'istituto della sospensione. 
    Ne  consegue  che  se  la  denunciata  norma  venisse  dichiarata
incostituzionale   il   prevenuto   potrebbe   ottenere    l'invocato
provvedimento   di   sospensione   dell'ordine    di    carcerazione.
Diversamente, non sarebbe ammesso a fruire di tale beneficio. 
    Esiste dunque un chiaro collegamento giuridico  fra  norma  della
cui costituzionalita' si dubita e regiudicanda  all'esame  di  questo
Giudice,  tale  che   il   giudizio   non   possa   essere   definito
indipendentemente dalla risoluzione della questione  di  legittimita'
costituzionale,  che  avrebbe  ricadute  immediate  e  dirette  sulla
decisione. 
    Sussiste,  pertanto,  il  requisito  della  rilevanza  stante  la
pregiudizialita'   necessaria   della   questione   di   legittimita'
costituzionale rispetto alla decisione. 
    Parimenti,   deve   ritenersi   sussistere   la   non   manifesta
infondatezza  della  questione  proposta,  sussistendo   profili   di
incostituzionalita' dell'ari. 656 comma 5 c.p.p.  in  relazione  agli
artt. 3 e 27 Cost. 
    Ed invero, il differente regime tra chi risulti condannato a pena
infratriennale, e dunque ammesso  all'affidamento  in  prova,  e  chi
risulti condannato a pena infraquadriennale, ammesso  all'affidamento
in prova  cd.allargato,  appare  conseguente  ad  un  disallineamento
sistematico - non colmato in sede di conversione del decreto-legge n.
146/2013 con legge n. 10/2014 mediante modifica dell'art. 656 comma 5
cit.  -  idoneo  a  determinare  una  ingiustificata  disparita'   di
trattamento tra la prima categoria  di  soggetti,  beneficiari  della
citata sospensione automatica, e la seconda categoria di soggetti,  i
quali,  benche'  parimenti,  ammessi   alla   fruizione   di   misure
alternative alla detenzione, risultano irragionevolmente esclusi  dal
regime piu' favorevole dettato dall'art. 656 comma 5 cit. 
    Ebbene, il censurato differente trattamento appare  il  risultato
di un mancato raccordo tra norme, posto che la coesistenza delle  due
disposizioni, l'una (art. 47 comma  3-bis  legge  n.  354/1975),  che
estende l'opzione  per  le  misure  alternative  alla  detenzione  ai
condannati con pena entro i 4  anni,  e  l'altra  (art.  656  comma 5
c.p.p.), che limita il  potere-dovere  del  P.M.  di  procedere  alla
sospensione ex officio dell'esecuzione per le sole  pene  entro  i  3
anni,  determina  una  distonia  normativa  incidente  sui   principi
costituzionali, laddove l'art. 656 comma 5  c.p.p.  non  prevede  che
l'ordine di sospensione della pena debba essere emesso anche nei casi
di affidamento in prova 'allargato'. 
    Invero, le due condizioni soggettive  appena  descritte  appaiono
del tutto simmetriche, atteso che sia in caso di affidamento in prova
che di affidamento 'allargato' la  concreta  ammissione  alla  misura
alternativa e subordinata ad un periodo di osservazione del reo. 
    Ne consegue che non potrebbe fondarsi una pretesa  disomogeneita'
di situazioni soggettive, asseritamente giustificativa del differente
trattamento, sotto il profilo del controllo comportamentale  del  reo
previsto dall'art. 47 comma 3-bis cit. quale  condizione  di  accesso
alla misura alternativa, posto che l'art. 47 ai commi 2 e 3 subordina
parimenti la concessione dell'affidamento in prova  ad  una  verifica
della condotta e della personalita' del reo. 
    Per altro verso, anche il recente  istituto  dell'affidamento  in
prova 'allargato' risponde  alla  medesima  ratio  deflattiva  ed  al
contempo  rieducativa  che  connota  e  correla  l'automatismo  della
sospensione dell'ordine di carcerazione da  un  lato,  all'accesso  a
misure alternative alla detenzione dall'altro. 
    Pertanto, la censurata mancata previsione dell'art. 656  comma  5
c.p.p. viola il principio di eguaglianza ex  art.  3  Cost.,  nonche'
viola l'art. 27, comma 3 Cost.,  sotto  il  profilo  della  finalita'
rieducativa della pena, in quanto il condannato dai 3 ai 4  anni  che
sia in stato di liberta' e abbia  compiuto  un  percorso  rieducativo
tale da consentirgli di accedere all'affidamento in  prova  allargato
e', ciononostante, costretto ad entrare in carcere. 
    Il che rappresenta anche una interruzione idonea a vanificare  le
positive esperienze risocializzanti gia' registrate in liberta' e  ad
ostacolare il raggiungimento della finalita' rieducativa  della  pena
prescritta dalla Costituzione (Corte cost., sentenza n. 137/1999). In
tal modo «l'opzione repressiva finisce  per  relegare  nell'ombra  il
profilo rieducativo al di fuori di  qualsiasi  concreta  ponderazione
dei valori coinvolti» (Corte cost,, sentenza n. 257/2006). 
    Inoltre, va  ribadito  che,  cosi'  come  affermato  dalla  Corte
costituzionale, deve escludersi la praticabilita', nel caso in esame,
di  un'interpretazione  costituzionalmente  orientata   della   norma
sospettata di illegittimita' costituzionale.  Infatti,  la  Corte  ha
piu' volte affermato che  «l'univoco  tenore  della  norma  segna  il
confine in presenza del quale il tentativo interpretativo deve cedere
il passo al sindacato di legittimita' costituzionale» (sentenza n. 78
del 2012). 
    Invero, la denunciata norma impone, come detto, al P.M. l'obbligo
di sospendere d'ufficio l'esecuzione di tutte le condanne definitive,
fissando a tal fine condizioni  tassative,  che,  in  caso  di  «pene
detentive  non  superiori  a  tre  anni»,  coincidono  con  un   mero
accertamento aritmetico-formale, non  implicante  alcuna  valutazione
discrezionale. 
    Il  legislatore,  quindi,  ha  fatto  ricorso   ad   una   rigida
determinazione aritmetica  al  fine  di  condizionare  l'operativita'
dell'istituto della sospensione automatica, in quanto ha  ancorato  a
quel quantum di pena  una  vera  e  propria  presunzione  di  ridotta
pericolosita' del soggetto. 
    Ebbene,  poiche'  l'elemento  condizionante   l'attivazione   del
meccanismo de quo risulta fondato su di un limite numerico, esso, per
sua intrinseca natura, appare  insuscettibile  di  modifiche  in  via
interpretativa, e dunque ostativo ad una interpretazione  adeguatrice
del dettato normativo in scrutinio ai principi costituzionali. 
    Per altro verso, neppure la disapplicazione diretta, da parte del
giudicante, della disposizione reputata illegittima consentirebbe  di
pervenire ad una lettura costituzionalmente  orientata  della  norma,
salvo a volerla  congiungere  ad  una  inammissibile  interpretazione
additiva. 
    Per  le  motivazioni  esposte,  la  questione   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 656, comma 5, c.p.p., per  violazione  degli
artt. 3 e 27, comma 3, Cost., nella parte  in  cui  non  prevede  che
l'ordine di sospensione della pena debba essere emesso anche nei casi
di pena non superiore a quattro anni di detenzione, risulta rilevante
e non manifestamente infondata. 
    A norma dell'art. 23 della legge  11  marzo  1953,  n.  87,  deve
dichiararsi  la  sospensione  del  procedimento   e   deve   disporsi
l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale,  fermo
restando lo stato di carcerazione in atto. La Cancelleria provvedera'
alla notifica di copia della presente ordinanza alle parti in causa e
al Presidente del Consiglio dei ministri ed alla comunicazione  della
stessa ai presidenti delle due Camere del Parlamento.